mercoledì 18 gennaio 2012

Caffè al veleno a Piccadilly

VOTO: 6-






Caffè al veleno a Piccadilly - Antony Berkeley - 1929


È un normale pomeriggio londinese quando Ambrose Chitterwick si ferma per un drink al lussuoso Piccadilly Palace Hotel. Nel salone affollato nota una signora di circa sessant’anni intenta a discutere animatamente con un giovanotto, forse il nipote. Incuriosito, osserva la scena, ma il suo interesse viene avvertito dall’uomo, che lo guarda con palese irritazione; per fortuna di Chitterwick, l’arrivo di una telefonata inaspettata, che gli fa lasciare il salone, lo salva da una situazione spiacevole. Quando rientra, poco dopo, l’uomo non c’è più e la donna sembra essersi addormentata davanti al suo caffè. Con un certo imbarazzo, Chitterwick si alza per andare a svegliarla, ma lo attende una macabra scoperta: la signora è passata a miglior vita. Il medico, accorso d’urgenza, trova nel pugno chiuso della morta una fialetta vuota di acido prussico. Suicidio? Chitterwick, che aveva visto il giovane armeggiare con la tazzina del caffè mentre la sua compagna era distratta, non è di questo avviso e chiede all’amico Moresby, ispettore capo di Scotland Yard, di svolgere delle indagini. La sua testimonianza conduce agevolmente all’arresto dell’uomo… ma è proprio sicuro di aver visto giusto? Incalzato dalla moglie del presunto assassino, Chitterwick dovrà ripassare al vaglio tutte le sue certezze, con esiti insospettabili.
Stesso autore de "Il caso dei cioccolatini avvelenati", stesso protagonista...purtroppo però non è lo stesso libro. Non voglio essere spietata nei confronti di questo romanzo perché probabilmente la sua colpa maggiore è quella di dover reggere il confronto con un semi-capolavoro. Una cosa da obiettare però ce l'ho: Ambrose Chitterwick, l'investigatore dilettante risolutore di questo caso e del precedente non è adatto ad essere un protagonista. Se infatti nel primo libro il suo ruolo è stato marginale per tutta la durata della storia per poi essere fondamentale nell'ultimo capitolo, qui è presente sempre e comunque. Ve lo descrivo: borghese di mezza età, scapolo, vive ancora con sua zia ed è ancora attaccato alle sue gonne. È un uomo di una noia mortale...io ho faticato davvero a leggere questo libro perché vi assicuro che nella prima metà ci sono quasi esclusivamente i suoi noiosissimi pensieri e le sue noiosissime attività. Superata questa fase la storia inizia a farsi interessante ma non basta a rendere bello il romanzo. La risoluzione è intuibile per chi in fatto di gialli si è fatto le spalle larghe, ma facendo parte di questa categoria non posso affermare con certezza se si tratta di una banalità o meno. Ok, avevo promesso di non essere troppo cattiva ma lo sono stata. Secondo voi è possibile recensire un libro a prescindere dal protagonista? Io non dico che deve esservi per forza simpatico ma deve avere almeno un particolare curioso o un vizio che lo caratterizzi...
Dopo tutto quello che ho scritto vi aspetterete un "non lo consiglio affatto" ma stranamente non è così. Il fatto che l'autore sia comunque molto bravo e la dinamica dell'omicidio ben fatta mi porta a restare sul vago e dirvi "con tutte le porcherie attualmente edite in italia, a tempo perso si può leggere".

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